amaz(z)ing colombia
Carissimi, rifacciamo un passo indietro per recuperare il ricordo di Bogotà, città di partenza e di ritorno dalle Galapagos. Non ci delude, malgrado il grigio continuo e le pisciatine d’acqua incessanti anche durante i pochi guizzi di sole. E’ fragorosa come una città tipicamente colombiana, ma ha anche una faccia quasi europea. La Candelaria ci ricorda un po’ l’amata Lavapies di Madrid, con tanto di clochard, anche se meno distinti di quelli di Madrid (che riuscivano con una lampada e una piantina ad arredare lo sportello di un bancomat), bar sgarrupati, brutti e stupendi insieme, musei opulenti in oro e forme alla Botero, cafè intimisti (El Copeton del trentino Christian e della colombiana Cata). E poi straordinariamente organizzata: ferramenta, negozi di abbigliamento sportivo, tecnologia (e qui non abbiamo trovato nessuno che ci riparasse l’hardisk per cui aspettiamo il rientro a casa confidando nell’amico Robba), librerie (strano, ma vero!), erboristerie…interi quartieri, ciascuno specializzato in una sola attività. Limitatamente a quanto abbiamo visto ci aspettavamo uno scenario intellettuale di maggiore qualità da una città che ospita il Festival del Teatro Iberoamericano, ma non ci possiamo lamentare dopo un Centro America depresso e piuttosto sconfortante, da questo punto di vista. Lasciamo Bogotà per la prima volta per volare nell’Oceano Pacifico e ci piace pensare di tornare qui dopo 15 giorni. Durante l’andata alberghiamo all’aeroporto di Quito, sulle panchine gelate della sala di attesa, ma di ritorno ci fermiamo un giorno intero, questa volta in un letto di albergo. Quito ci sorprende, incastrata tra le montagne con alle spalle il Cotopaxi innevato, è affascinante, economica, anche se sembra avere un lato cupo e piuttosto inquietante. Salendo sul teleferico la vista è incantevole e l’aria diventa più rarefatta e difficile da digerire, siamo a 4100 metri in meno di 10 minuti. Rientriamo in serata a Bogotà, dopo aver litigato per l’ennesima volta con l’ennesimo tassista, ma arriviamo nella stessa strada, nello stesso hotel, negli stessi bar con le stesse facce di due settimane prima e la cosa ci fa sentire un po’ a casa. Giusto un pomeriggio di sosta e prendiamo un altro volo per Leticia, al sud, sulla tripla frontiera (Perù, Colombia, Brasile). Siamo nella Foresta Amazzonica. Sbarcati dall’aereo è talmente alto lo sbalzo di temperatura che i vestiti diventano incandescenti e noi roventi di umidità. Ma fin da subito niente zanzare, niente moscerini, niente di terribile come ci avevano prefigurato altri viaggiatori, certo le farfalle e gli scarafaggi sono un tantino più grandi del normale. Ci spostiamo però un po’ più all’interno, a Puerto Nariño, villaggio sulle rive del Rio Solinames, a pochi metri dalla diramazione con il Rio delle Amazzoni. Ospiti del frate francescano Hector (rettore del collegio frequentato dai ragazzi dei villaggi indigeni della zona), nella sua tenuta viviamo giorni di paradisiaca tranquillità, svegliati da scimmie fragili, pappagalli, gatti, oche, cani, che convivono meravigliosamente tra battibeccchi e dispetti. Ci conquistano, ci molestano, ci pisciano e ci cagano…
One Comment
sera
September 20th, 2012
non ho capito se eravate sul marmagna o a Parigi.
genna
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