la nostra epoca pro-colombiana

Solo col senno di poi e ripercorrendo a ritroso le ultime settimane, ci siamo resi conto che in un modo o nell’altro il viaggio lungo le montagne colombiane ha toccato quelle corde che solo l’Alaska, la Death Valley e il Lago Atitlan in Guatemala sono riusciti a toccare con tanta morbidezza ed energia. Ci ricordiamo così quotidianamente gli insegnamenti tratti dall’esperienza millenaria dei popoli indigeni, la capacità di portare avanti una resistenza che dura ormai da secoli, il profondo rispetto e l’infinita gratitudine nei confronti della Natura, e quindi il senso di collettività (figuriamoci che nella lingua degli indigeni Nasa- effettivamente il nome potrebbe suggerire un ossimoro inquietante – la più grande etnia del Cacua, nel centro sud, non esiste alcuna parola per dire “Io”). E poi ancora la quotidianità e la medicina indigena che si avvalgono del mambear le foglie di coca come accompagnamento per la vita, dalla culla alla tomba, e infine la giustizia, in cui la principale sanzione è la disapprovazione da parte della comunità, anche attraverso sistemi per noi, apparentemente discutibili, come la gogna o le frustate, che tuttavia potrebbero essere utilmente applicate a politici e amministratori corrotti (anche nostri).

Una settimana a Villa de Leyva ci è servita per reincontrare un’ abbozzata conoscenza italiana ora trasformata in un’amicizia colombiana con Diana e Irene, madre la prima, figlia scorpione la seconda. Seppur in modo troppo rapido, per i nostri canoni, i regali della terra colombiana sono stati tanti e fino ad ora speciali a partire dal deserto di Tatacoa, che ci ha fatto risentire alcune vibrazioni psichedeliche della Death Valley, e poi Tierradentro con le sue tombe tracciate dalla luce di una torcia e la chiacchiera notturna davanti ad una bottiglia di Vino de Coca con due compagnoni spagnoli, Juan e Daniel, viaggiatori da una vita, e poi, seppur con meno incanto, San Augustin, dove il Rio Magdalena, da una strettoia di appena due metri, si trasforma nel fiume più grande della Colombia, energica tanto quanto Ugo, il cuoco veronese più famoso in città (Restaurante Italiano), risalendo poi il martedì per Silvia, nel bizzarro mercato degli indios Guambianos, e poi Salento e Valle de Cocora dalle palme da 40 metri e dalla selva di ponti e liane.

Un pozzo infinito di perle rare da cui ci allontaniamo con una lentezza inverosimile raggiungendo in dieci ore la capitale Bogotà, per lasciarci alle spalle il verde e passare all’atteso grigio cittadino, alla ricerca di qualcuno che ci aiuti a riparare il nostro hardisk per salvare le fotografie dei nostri ultimi sei mesi…

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2 Comments

sera

July 26th, 2012

QUANTE BELLISSIME FOTO!!!!!!COMPLIMENTI!BACI,LUCIA.

sera

August 8th, 2012

Se ma quanto sei bella??????????

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